Dalla foresta ai campi: il volto del Salento che cambia

Bosco della Cervalora

Chi avrebbe mai immaginato che nel cuore del Salento, tra Otranto e Brindisi, si estendesse un tempo una vasta foresta? La Foresta di Lecce, così si chiamava, copriva un'ampia area; un manto verde che contrastava nettamente con l'arido paesaggio che oggi caratterizza la nostra regione. Di quella rigogliosa distesa, restano ancora solo piccoli frammenti, come il Bosco di Cervalora, una lecceta spontanea nascosta lungo la strada che porta a Frigole. La sua vegetazione è molto simile a quella del Bosco di Rauccio, ed è gestita con il metodo del "ceduo", che prevede il taglio periodico degli alberi per favorirne la ricrescita. Entrambi i boschi rappresentano ciò che resta dell'antica foresta medievale tra Lecce e il mare e hanno un grande valore storico e scientifico, supportandoci a immaginare la vegetazione e quindi anche il paesaggio originario della zona.

L'aspetto attuale del territorio, molto semplificato, è cambiato intorno al Settecento, quando l'impatto antropico è aumentato e l'economia locale si è focalizzata sull'agricoltura, in particolare sulla coltivazione degli ulivi e sulla produzione di formaggi legati al pascolo. Molti boschi sono stati abbattuti dalla popolazione locale per ricavare legna da ardere e per fare spazio a un'agricoltura più intensiva.

Alla fine dell'Ottocento, però, si potevano ancora vedere ampie tracce dell'antica foresta e del bellissimo bosco di Belvedere nel centro del Salento, al punto che alcuni paesi, come Nociglia e Supersano, erano specializzati nella produzione di carbone vegetale. I resti di questa antica distesa verde, sono oggi nascosti all'interno di alte mura di proprietà privata. Nel tempo, la varietà di piante e animali nell'area è diminuita ulteriormente a causa di incendi ripetuti e dell'erosione dei terreni privi di copertura vegetale. Questo ha portato alla diffusione della gariga, un tipo di vegetazione considerata molto più povera e degradata rispetto alla foresta di lecci originaria, la quale rappresenta comunque un discreto indicatore della salute ambientale, poiché mostra che, in anni favorevoli e senza fattori stressanti, potrebbe essere possibile recuperare le piante originali. Questo processo potrebbe portare a un passaggio dalle piante più semplici a quelle più complesse della macchia mediterranea, fino a raggiungere la foresta di leccio, che rappresenta lo stato finale di questo ecosistema. Purtroppo però, ancora oggi il bosco subisce un po' di degrado a causa del diradamento eccessivo del sottobosco (cioè il taglio di piante e cespugli), fatto per facilitare la caccia.

Il suolo è costituito da calcarenite pleistocenica e il clima è particolarmente caldo e secco, ma nonostante queste condizioni difficili, la vegetazione del Bosco di Cervalora ha dimostrato una grande capacità di adattamento nel tempo, preservando oltre alle specie come il leccio, anche altre querce, tra cui la roverella e la virgiliana che perdono le foglie più tardi nell'anno, e in particolari condizioni, l'olmo campestre. Immerso in un contesto agricolo, il paesaggio è caratterizzato da un sottobosco denso e vario. Questa fitta vegetazione, tipica della macchia mediterranea, ospita numerose specie che hanno sviluppato straordinarie capacità di adattamento all'ambiente ostile. Per sopravvivere in queste condizioni, le piante hanno messo in atto diverse strategie e infatti il ​​pungitopo si difende con spina dorsale, il lentisco produce resina, mentre mirto e lentisco hanno foglie coriacee per ridurre la traspirazione. Ginestra e ginestrella, invece, attirano gli insetti impollinatori con i loro fiori gialli. Nonostante le differenze, tutte queste specie presentano adattamenti xerofitici, come radici profonde e portamento cespuglioso, che permettono loro di sopravvivere alla siccità. Tra le specie di particolare interesse, troviamo la Stipa austroitalica, che cresce solo in alcune aree.

Queste piante, insieme ad altre specie arbustive ed erbacee, creano un microclima favorevole e offrono cibo e riparo a moltissimi animali. Tra i rettilinei, oltre al colubro leopardino e al cervone, possiamo trovare lucertole, biacchi e rospi smeraldini, e in alcune zone, la testuggine palustre. Essi sfruttano le fessure tra le rocce, i tronchi e la vegetazione per termoregolarsi e cacciare insetti. L'avifauna è estremamente ricca e diversificata: oltre ai passeriformi come il pettirosso, vi sono molte altre specie che nidificano tra i rami degli arbusti o nelle cavità degli alberi, come i colorati cardellini ei fringuelli. Piccoli mammiferi come il riccio trovano cibo e rifugio in questo ambiente, ma anche specie più grandi come la volpe e il tasso possono occasionalmente avventurarsi in queste zone, soprattutto di notte. Non dimentichiamo i pipistrelli, che utilizzano gli alberi come nascondiglio e le api, le farfalle, i coleotteri e molti altri insetti che svolgono un ruolo fondamentale nell'impollinazione delle piante e nelle catene alimentari.

Grazie alle Direttive europee, abbiamo un quadro abbastanza chiaro delle specie presenti e della loro importanza per l'ecosistema. Inoltre, molte di queste specie sono protette perché svolgono un ruolo chiave nell'equilibrio dell'ecosistema o perché sono a rischio di estinzione. Il Bosco di Cervalora è riconosciuto come Sito d'Importanza Comunitaria (SIC) per il suo valore naturale ed è inserito nella rete Natura 2000, che comprende zone di protezione speciale e aree di conservazione importanti per l'Unione Europea. La gestione del sito è affidata alla Regione Puglia, che ha predisposto un piano specifico per la sua tutela e conservazione. La trasformazione del paesaggio è un processo complesso e dinamico, influenzato da fattori naturali e antropici. Il Bosco di Cervalora ci mostra come l'azione dell'uomo possa avere effetti a lungo termine sull'ambiente. È necessario adottare un approccio multidisciplinare e integrato per comprendere appieno questi processi e per mettere in atto strategie di gestione sostenibile del territorio.