Chi vive a Frigole o frequenta le campagne circostanti conosce bene le lande aride e sassose che, durante l'estate, sembrano perdere ogni segno di vita, specialmente dopo i devastanti incendi che sono sempre più frequenti. Ma c'è una pianta che, contro ogni aspettativa, non solo sopravvive, ma si erge fiera e rigogliosa tra le macerie carbonizzate: la Scilla marittima, una pianta che riesce a fiorire anche nelle condizioni più avverse, richiamando l'attenzione di chiunque passi da quelle parti.
Fiorisce tra agosto e settembre, proprio quando l'estate sta per finire e le prime piogge autunnali iniziano a bagnare la terra secca. È in quel momento che vediamo innalzarsi i suoi scapi fiorali, lunghi e dritti, come candele che possono arrivare fino a due metri di altezza. I fiori sono piccoli, bianchi e raggruppati in grappoli che si sviluppano progressivamente, dal basso verso l'alto, regalando uno spettacolo unico a chi osserva il paesaggio. Le foglie, che emergono solo dopo la fioritura, formano una rosetta basale verde e spessa, che dura fino all'inizio dell'anno successivo.
Con il ritorno della stagione arida, le foglie seccano, completando il ciclo vitale della pianta, che si prepara così a resistere alle condizioni più avverse. Come anticipato, una delle caratteristiche più sorprendenti della Scilla marittima è, infatti, la sua capacità di sopravvivere al passaggio del fuoco. Durante gli incendi estivi, il calore può bruciare le foglie secche e persino la parte più esterna dei suoi grossi bulbi, ma la pianta non viene intaccata nella sua vitalità.
Il nome Scilla evoca la tragica figura della ninfa trasformata in un mostro marino. Innamoratasi di Glauco, Scilla chiese alla maga Circe un filtro d'amore, ma la rivale, gelosa, le sommenistrò un veleno che la mutò in una creatura orribile, con sei teste di canna e un corpo metà donna e metà pesce. Condannata a vivere nelle caverne marine, Scilla divenne un pericolo per i naviganti, divorando chiunque osasse avvicinarsi.
Come la Scilla mitologica, anche la pianta nasconde diversi aspetti pericolosi: i suoi bulbi sono velenosi tanto che, in passato, venivano usati per la pesca di frodo nei torrenti per le loro proprietà ittitossiche. Inoltre, il contatto con i suoi bulbi può provocare irritazioni alla pelle e agli occhi a causa della presenza di ossalato di calcio. Usata in dosi controllate, la pianta ha proprietà medicinali. Nell'antichità, il bulbo di Scilla era molto apprezzato per le sue proprietà cardiotoniche e diuretiche, tanto che veniva impiegato per trattare scompensi cardiaci, asma e idropsia. Plinio il Vecchio e Teofrasto ricordano l'uso della Scilla nelle cerimonie espiatorie e per allontanare i sortilegi. Nella tradizione popolare, soprattutto in Sardegna, il bulbo della Scilla veniva utilizzato come amuleto contro i malefici, appeso sopra le porte delle case. In altre culture, veniva piantato sulle tombe per proteggere i defunti e si credeva che avesse poteri per guarire la follia.
Ed è proprio questa dualità tra bellezza e pericolosità che ha affascinato poeti come Louise Glück, che nella sua opera 'Iris selvatica' le attribuisce una voce profonda e riflessiva. In particolare, la poetessa attribuisce alla pianta una voce propria, invitandoci a riflettere sulla nostra condizione di esseri umani e sul nostro rapporto con il mondo naturale. La Scilla, con la sua umiltà e la sua forza, ci ricorda che anche le creature più piccole possono insegnare molto sulle grandi domande dell'esistenza. Come scrive Glück: 'Non io, idiota, non il sé, ma noi, noi: onde di blu-cielo come una critica del paradiso'. La pianta, con le sue radici affondate nella terra ei suoi fiori rivolti al cielo, ci invita a 'essere pressoché nulla', a riconoscere la nostra piccolezza di fronte alla vastità della natura. Eppure, proprio in questa apparente insignificanza, troviamo una grande forza e una profonda bellezza.