Mamma li Turchi: Le Masserie del Salento tra incursioni e trasformazioni storiche

1714, è giugno. Alla masseria la giornata inizia presto, i contadini si preparano ad andare nei campi quando ancora è buio.

All'improvviso un trambusto inatteso, grida, rumori confusi. I pirati hanno assalito la masseria, sono sbarcati col buio per approfittare della sorpresa e non trovare resistenza. I portoni sono già aperti, non c'è difesa, non c'è un ponte levatoio da ritirare in fretta.

La Lamia non è una masseria fortificata, ma un placido edificio rivolto verso il mare con un grande cortile dove vivono e lavorano nel periodo primaverile quasi quaranta persone. Nessuno resiste, non ci sono armi e armigeri, soltanto il fattore e contadini indifesi. Vengono fatti tutti prigionieri e trasportati sulla nave per essere venduti come schiavi sui mercati del mediterraneo. Le fornite di grano, il vino, i legumi, frutto dei recenti raccolti, vengono ammassati sul caicco. I pochi oggetti di valore sono portati via.

I pirati si dirigono poi verso Acaya, perché pensano di assaltare il castello contando sulla sorpresa, ma restano delusi. Ad Acaya sono stati avvertiti da un contadino che era andato più presto nel campo e aveva guardato da lontano la scena della razzia. Il portone qui è chiuso, il ponte levatoio alzato, i contadini si sono già tutti rifugiati nel castello che non può essere preso per le sue alte mura.

Li Turchi si accontentano e vanno via.

Un attacco pirata, quello del 1714, che seppur violento, non segnò la fine della masseria Lamia. La masseria fu presto ripopolata e tornò a svolgere la sua funzione di centro produttivo. Tuttavia, le vicende di questa masseria riflettono un destino comune a molte altre strutture simili che, nel corso dei secoli, hanno subito profonde trasformazioni, lasciando segni stratificati, testimonianze di epoche diverse e di varie culture. Ogni traccia del passato si collega a un complesso intreccio di fenomeni: dalle influenze culturali e politiche, alle caratteristiche geografiche, alle necessità economiche e religiose, fino all'organizzazione delle attività produttive.

La pianura salentina, grazie alla sua conformazione, si è rivelata facilmente adattabile ai vari modelli di governo e organizzazione territoriale, conservando fino ad oggi molte di queste testimonianze. Le masserie, simbolo del modello agricolo salentino, rappresentano il risultato di secoli di evoluzione.

La loro origine potrebbe essere ricondotta alla colonizzazione romana, che introdusse la centuriazione e strutturò la pianura in una serie di piccoli appezzamenti. Con l’avvento del monachesimo italo-greco dopo la caduta dell'Impero Romano, le comunità monastiche basiliane diventarono punti di riferimento per la riorganizzazione agricola, come isole di attività e ordine in un periodo di incertezza. Su queste basi, prese forma il modello salentino, fatto di piccoli nuclei abitativi distribuiti a breve distanza l’uno dall’altro, rafforzato poi durante la dominazione dei Normanni e degli Svevi, che pur centralizzando il potere, mantennero questa struttura policentrica.

Le masserie salentine, le quali prendono il nome dalle “masserizie” (oggetti per la casa, mobili, attrezzi vari, magazzini di alimenti per uso umano ed animale), erano strutture multifunzionali che ospitavano sia le abitazioni per diverse classi di abitanti (padroni, contadini, pastori) sia spazi per animali e attività agricole. Ogni masseria era ben integrata nell'ambiente circostante, con un'architettura adattata alla zona, alle esigenze difensive e ai tipi di coltivazioni praticate.

In genere, le masserie nel Salento erano di piccole dimensioni, con strutture essenziali per la vita contadina, a differenza delle grandi masserie presenti in altre aree del Sud Italia. Le corti erano elementi fondamentali, spesso delimitate da muri in pietra secca. Gli spazi erano organizzati in modo funzionale, con pozzi, cisterne per l'acqua, magazzini, stalle, forni e, in alcuni casi, cappelle o mulini aperti anche agli estranei.

A seguito delle continue incursioni piratesche che seguirono la caduta di Costantinopoli, le masserie salentine, un tempo semplici fattorie, si trasformarono in complesse strutture difensive. Carlo V, preoccupato per la sicurezza del territorio, ordinò la costruzione di torri di avvistamento e di mura robuste intorno a questi edifici. La torre, oltre a servire come punto di osservazione, era spesso l'abitazione del proprietario. Al piano inferiore si svolgevano le attività produttive: la trasformazione del latte, la molitura delle olive e la conservazione dei prodotti agricoli. Le masserie assunsero così una forma fortificata per proteggere le persone e le risorse, diventando centri di produzione sicuri e autosufficienti.

Tra il XVI e il XVII secolo, l'arrivo dei Borboni nel sud Italia ne segnò un'ulteriore trasformazione. Essi espropriarono i feudi ecclesiastici, affidando i latifondi alla borghesia rurale. Le masserie si strutturarono come complessi di edifici rustici e terreni gestiti da un massaro, il quale coordinava il lavoro dei contadini per conto dei proprietari.

Dalla metà del XVII secolo, queste strutture assumono un ruolo sempre più centrale nella vita rurale, svolgendo molteplici funzioni: centri agricoli, depositi, aziende, presidi militari e, in periodi di crisi sanitaria, anche luoghi di assistenza. Questa multifunzionalità si riflette nell'architettura, che si fece sempre più complessa e ricca di elementi decorativi, culminando nella nascita delle masserie-villa, vere e proprie dimore signorili.

Le masserie cominciarono il proprio declino con la legge eversiva della feudalità del 1806, voluta da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli. A questo si aggiunse, nel 1866, l'esproprio dei beni ecclesiastici da parte del governo italiano, che portò alla frammentazione delle grandi proprietà feudali o ecclesiastiche. Successivamente, la divisione ereditaria, che non seguiva più il principio del maggiorascato, contribuì ulteriormente alla decadenza di queste strutture. Oltre agli impatti delle leggi, il progresso agricolo trasformò gradualmente la coltivazione estensiva, prevalentemente cerealicola e pastorale, in una coltura intensiva, sia arborea sia erbacea. Originariamente, la produzione delle masserie salentine era di tipo cerealicolo, affiancata dalla pastorizia, con l'allevamento principalmente di ovini, seguito da bovini ed equini. Alla masseria poteva essere annessi oliveti e, talvolta, boschi, e il bestiame veniva alimentato quasi esclusivamente dai pascoli naturali.

Nel XX secolo, dopo le guerre mondiali, le condizioni dei contadini peggiorarono, portando alla necessità di una Riforma Agraria che, frazionando e ridistribuendo i latifondi, cambiò profondamente la vita delle masserie: molte furono abbandonate o destinate a usi diversi, perdendo così il loro ruolo aggregante e il carattere originario.

Questi mutamenti segnano il declino di un patrimonio culturale che, spesso trascurato, è andato lentamente perdendosi, senza che venisse pienamente compresa la ricchezza che si stava lasciando svanire. Fortunatamente, alcune masserie hanno resistito allo scorrere del tempo e alle trasformazioni sociali, testimoniando ancora oggi i sacrifici, il lavoro e le passioni dei contadini di un'epoca non così lontana.