Il profumo del pane appena sfornato, il calore del forno, il vociare della gente: un'atmosfera che riporta a tempi lontani, quando la vita scorreva al ritmo dei lavori nei campi e il forno comunitario era il cuore pulsante di ogni borgo.
Nel cuore del Salento, immerso tra gli ulivi colpiti dalla xylella e le distese dei campi, sorge Borgo Piave. Nato all'inizio del Novecento come ambizioso progetto di colonizzazione, questo piccolo borgo ha visto la sua storia intrecciarsi con quella di un forno, simbolo di una comunità unita e laboriosa.
Costruito nei primi anni Venti dall'Opera Nazionale Combattenti, il forno di Borgo Piave (ce n'era anche un altro nel borgo) oggi era più di un semplice luogo dove cuocere il pane. Si trattava di un modulo architettonico caratteristico, coperto da un tetto e dotato di un comignolo che svettava verso il cielo. Il forno, costruito in muratura con un piano di cottura in mattoni e chiuso da uno sportello di ferro, era preceduto da un vano coperto, dove gli abitanti preparavano e appoggiavano le cose da cuocere. Era il centro nevralgico della comunità, un luogo di condivisione di gioie e fatiche, e di trasmissione delle tradizioni. Le donne del borgo, con le loro mani esperte, impastavano la farina, creando pani di diverse forme e dimensioni, mentre spesso erano gli uomini che si occupavano di accendere il fuoco e di regolare la temperatura del forno. La legna necessaria alla cottura era portata dalle famiglie stesse a turno, che si accordavano per cuocere il pane in un giorno prestabilito. Una volta ass le fascine e scaldato il piano di cottura, le braci venivano sistemate ai lati per lasciare spazio agli impasti, e il piano veniva accuratamente pulito dai residui di brace per evitare che alterassero il sapore del pane. Chiuso lo sportello di ferro, si attendeva pazientemente il tempo della cottura.
Anche intorno al forno si svolgeva la vita del borgo, la cui storia è legata a doppio filo con quella dei progetti di bonifica del territorio. Fu infatti l'Opera Nazionale Combattenti che nel 1921, prima quindi dell'epoca fascista, avviò la costruzione del borgo e dei forni per dare una casa e alcuni servizi ai contadini, agli operai della bonifica e poi ai coloni provenienti da tutto il Salento. Con la bonifica, oltre a mettere a frutto terreni paludosi e improduttivi, si avviava anche una dura lotta alla malaria, una malattia che affliggeva da secoli le popolazioni rurali. Nel periodo fascista poi si radicò anche una forte componente ideologica: la bonifica e la coltivazione di nuovi terreni veniva considerata simbolo dell'“autarchia”, della forza e della determinazione del regime. I veterani di guerra, considerati eroi nazionali, furono i primi destinatari delle terre bonificate, trasformandoli in pionieri di una nuova ruralità. Il borgo, infatti, sorse come luogo dove i combattenti della Grande Guerra possono trovare una nuova casa e ricominciare una vita. Il forno, in questo contesto, rappresenta un elemento fondamentale per l'autosufficienza della comunità. Un servizio messo a disposizione delle famiglie, in un periodo in cui i trasporti verso la città erano difficili e irregolari e non potevano garantire l'approvazione del pane.
Borgo Piave, così fu chiamato, prendeva il nome dal fiume che scorre tra Friuli e Veneto, luogo simbolo della resistenza italiana durante la Prima Guerra Mondiale di fronte al nemico. L'ONC, giunta a Frigole nel 1920 sotto la guida di Antonio Sansone, si impegnò da subito nella costruzione di infrastrutture per migliorare le condizioni di vita dei contadini e degli operai. Non si trattava solo di edifici residenziali per i lavoratori e le loro famiglie, ma di un vero e proprio sistema di supporto alla comunità: vennero realizzati quindi il forno sociale, magazzini, pozzi. Dopo la realizzazione dei primi edifici nel 1922, nel 1930 furono inaugurate sette case coloniche, mentre nel 1933 fu aperta una scuola elementare. Successivamente, nel 1935, le abitazioni originali vennero sopraelevate per accogliere nuove famiglie e intorno al 1940 alcune di queste strutture ospitarono i marinai del presidio della Marina Militare, tanto che il complesso prese il soprannome di “case della Marina”, usato ancora oggi.
Con l'arrivo dell'Ente Riforma negli anni '50, il borgo continuò a crescere con la costruzione di nuove case e della chiesa, realizzata nel 1957 grazie all'impegno della comunità e di don Fortunato Pezzuto. Negli anni successivi, Borgo Piave ha continuato subito profonde trasformazioni.
Negli anni sessanta è iniziato il progressivo abbandono delle attività agricole e di conseguenza lo spopolamento del borgo. Lo sviluppo industriale, l'urbanizzazione ei cambiamenti nelle abitudini delle persone hanno portato al disuso del forno comunitario, che è stato gradualmente abbandonato. Tuttavia, il ricordo di quel luogo e delle tradizioni ad esso legato continua a vivere nel cuore degli abitanti del borgo.
Oggi, Borgo Piave si trova a dover affrontare le sfide della contemporaneità, cercando di valorizzare il proprio patrimonio storico e culturale e di promuovere un turismo sostenibile. Il forno comunitario, in questo contesto, può rappresentare un punto di partenza per riscoprire le proprie radici e ricreare un senso di comunità. In un mondo sempre più frenetico e individualista, riscoprire il valore dei luoghi e delle relazioni è fondamentale. Il forno di Borgo Piave ci invita così a riflettere sul nostro passato ea costruire un futuro più sostenibile e umano.